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mercoledì 2 marzo 2011

COME UN UOMO SULLA TERRA - IL RACCONTO DEI MIGRANTI

Come già accaduto nel 2010, il 1° marzo del 2011 in diverse piazze d'Italia si sono svolte una serie di manifestazioni organizzate nell'ambito del cosiddetto Yellow day (contrassegnato da vessilli e nastrini gialli, ma da nessuna bandiera di partito), per sottolineare l'importanza che hanno ormai assunto gli immigrati nel nostro paese: sono oggi 6 milioni, e sono responsabili dell'11 percento del PIL.
Il circolo del Partito Democratico di Gerenzano ha deciso di proporre, la proiezione del film-documentario Come un uomo sulla terra di Andrea Segre, Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene, che racconta le vicende drammatiche di un perseguitato politico che, dall'Etiopia attraverso il Sudan e la Libia, cerca di raggiungere l'Italia.

Il film denuncia soprattutto la criminale brutalità della polizia libica alle dirette dipendenze di Gheddafi, finanziata fino ad oggi dal nostro Governo, grazie all'impegno del ministro degli Interni Roberto Maroni, di quello degli esteri Franco Frattini, e il particolare compiacimento di Silvio Berlusconi. Costoro, delegando alla Libia il compito di contenere i flussi migratori dall'Africa subsahariana verso l'Europa, non hanno mai chiesto garanzie sul rispetto dei diritti umani. La proiezione, oltre ad essere un gesto di solidarietà espresso nei confronti di tutti i migranti, diventa quindi un implicito atto d'accusa contro coloro che fingono di scoprire solo ora l'indole di Gheddafi e la natura del suo potere.

“Come un uomo sulla terra” è un viaggio di dolore e dignità, attraverso il quale Dagmawi Yimer riesce a dare voce alla memoria quasi impossibile di sofferenze umane, rispetto alle quali l’Italia e l’Europa hanno responsabilità che non possono rimanere ancora a lungo nascoste.

La decisione di creare un archivio delle storie dei migranti per non dimenticare, per dovere di memoria, è particolarmente necessario oggi perché coinvolge due livelli clamorosi di amnesia del nostro paese: il passato coloniale e quello migratorio, complesse realtà che i flussi migratori odierni richiamano con forza.

Per potere costruire un paese alternativo c’è bisogno di costruire un linguaggio comune, una memoria comune e un immaginario comune. Il documentario appartiene a questa costruzione narrativa.

L’accoglienza, perciò, deve avvenire anche come esperienza educativa. All’arrivo in Italia una persona straniera si confronta con l’accoglienza che costituisce un imprinting indelebile. L’accoglienza è una scommessa per il futuro perché ne dipende il benessere individuale e sociale di molte persone, fino alla convivenza nelle nostre città.

Tutto questo è stato impedito a centinaia e centinaia di persone che dal 2003, anno dell’accordo con Gheddafi, sono stati arrestati in Libia e detenuti fino al rimpatrio.

Le rivoluzioni del nord Africa di questi giorni hanno portato alla ribalta i soliti piagnistei di chi ha paura dell’onda che potrebbe abbattersi in Italia.

In realtà, come più volte è stato detto da Lucia Annunziata, i giovani di questi paesi non hanno bruciato nessuna bandiera né americana o israeliana, hanno protestato per giorni nell’attesa della caduta del dittatore con la speranza di un futuro migliore nel loro paese.

Sono giovani, perché la popolazione di questi paesi è giovane, il 60% è sotto i trent’anni, e non hanno visto altri politici che i dittatori.

A queste giovani popolazioni va l’augurio di una vita felice, libera e democratica.

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